Qualcosa di dolce, di puro, di bianco. Un luogo contenuto, protetto. Il corpo e il suo stare nell’orizzontalità, nella ripetizione, nell’insistenza. Un canto che sostiene e apre lo spazio ad immaginari sospesi tra infanzia e adultità. Ad essere interrogato è lo stato del corpo tra il sonno e la veglia: la rêverie, interpella la capacità dell’uomo di mettersi in uno stato di ascolto tale da generare visioni poetiche.
A SEGUIRE
Laddove i più rifuggono il presente e quando il mondo è sempre altrove, “ora” e “qui” perdono di significato e la presenza diventa un bene raro, si estingue. Gli indicali “qui” e “ora” sono espressioni linguistiche il cui significato dipende dal contesto. “Qui” significa “in questo luogo”, ovvero il luogo in cui io (colui o colei che utilizza tale espressione nel discorso o nel pensiero) mi trovo ora: il luogo che in questo momento sto percependo ed esperendo, il luogo che mi è ora presente e in cui io sono presente ora. “Ora” significa “in questo momento”, ovvero l’istante che sto vivendo, quello in cui sto percependo e pensando: l’istante che scandisce il mio esperire e l’unico ad esistere, per me. In un mondo di dispositivi e virtuali reti sociali, percezione, pensiero ed esperienza divergono di nuovo dal reale, divenendo vuoti contenitori, e gli indicali smarriscono il loro significato. Mai qui, in nessun luogo ora. Non rimane che farsi vivere addosso una vita evanescente, prigionieri di un’infinita ma piatta potenzialità, dove le priorità s’invertono, o collassano su una superficie omogenea, sterminata, ripida e scivolosa, che risucchia e inghiotte, come un buco nero.